Roberto Chessa

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Merda d’Artista, quanto puzza il Brand?

L’altra sera, mentre ascoltavo la radio, la mia mente ha iniziato a fare strani collegamenti.

Mi son ricordato dell’artista Piero Manzoni, diretto discendente dell’indimenticato Alessandro, padre letterario di Renzo e Lucia, che non erano fratelli.

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Il giovane Piero, che potete vedere alla vostra sinistra, con aria sollevata, al termine della creazione della propria opera, ebbe un’idea geniale e a dir poco provocatoria.
Erano gli anni in cui l’arte aveva preso un piega prettamente intellettualistica e di concetto
A seguito di una seduta ricca d’ispirazione, Piero decise di :

Il 21 maggio 1961 l’autore sigillò le proprie feci in 90 barattoli di conserva, ai quali applicò un’etichetta con la scritta «merda d’artista» in italiano,inglese (Artist’s shit), francese (Merde d’Artiste) e tedesco (Künstlerscheiße). Sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 1 a 90 insieme alla firma dell’artista.

Manzoni mise in vendita i barattoli di circa 30 grammi ciascuno ad un prezzo pari all’equivalente in oro del loro peso.
(fonte Wikipedia)

Al di là dell’aspetto più “rivoluzionario” , i critici si sono sbizzarriti ad individuare sensi profondi dell’opera.
Insomma, basta metterci una firma famosa che anche la merda trova un ampio consenso.

A distanza di oltre 50 anni, trovandoci immersi in un mare di simili opere d’arte, direi sino al collo, la nostra Società pare aver ben compreso il concetto. L’apparenza conta più della sostanza.
Ne danno triste testimonianza le persone , il marketing ed il business in generale.
Ci dicono che dobbiamo essere i numeri 1, il resto non conta. Immagine, posizionamento, brand reputation.
L’importanza del marchio , ti permette spesso di vendere merda e farla pagare a peso d’oro.

A prescindere dall’oggetto stesso, ciò che conta è il senso di possesso e “l’emozione” ad esso legata.
Spesso si acquista un prodotto non tanto per bisogno, ma per ciò che leghiamo ad esso, per il messaggio che abili pubblicitari ci hanno trasmesso negli anni.

Prendiamo l’esempio delle mitiche Harley Davidson, se chiudo gli occhi mi vedo tutto vestito in pelle a correre felice la route 66. Il senso di libertà e ribellione …. sensazione unica.
Ma poi mi sveglio a causa del casino che fa la marmitta, stordito tra la nebbia , nella strada che da Gaggiano porta a Trezzano sul Naviglio,  con dolori lancinanti alle braccia per la scomodità di guida.

Non me ne vogliano gli “harleysti” , con il cuore sono uno di voi , e prima o poi riuscirò a farmi venire i crampi alle braccia e percorrere quella cacchio di strada.

Per fortuna ci rimane l’abbigliamento a smentire quanto detto, perché come dice il mio amico Gianni, in questo caso è diverso, perché ci sono le cuciture, il taglio, il tessuto. Non puoi pretendere che un abito di marca da 600 € abbia la stessa qualità di uno sconosciuto che costa 120€.
Per poi scoprire che lo stesso abito lo trovi dal “cinesino” all’angolo, che il rappresentante che fornisce la merce è lo stesso e che provengono dallo stesso distributore che li importa dall’Indonesia.

Insomma non ci sono più le mezze stagioni e si stava meglio quando si stava peggio.

Ma quanto conta realmente il Brand?

merda

Negli ultimi anni i bilanci previsionali delle aziende che hanno capito il “come”, segnano importi significativi di investimenti in pubblicità e marketing. La massa invece continua a pensare che il proprio prodotto sia migliore. La qualità, e bla, bla, bla. Si continua ad investire in innovazione, qualità, ricerca, a discapito di maketing e formazione. Ma i prodotti non si vendono da soli.

Cosa dire del settore alimentare ? ….. andiamo oltre

Lamentarsi non serve a niente, tanto prima o poi tutti tendiamo ad acquistare un bel barattolino di merda solo perché firmato. Per questo vogliamo condannare i grossi marchi ? loro fanno il loro mestiere e lo fanno bene.

La piccola impresa che punta il suo sviluppo sulla qualità dei propri prodotti, è destinata a morire, se non lo comunica al mercato nel giusto modo.

E’ fondamentale ritagliarsi la propria nicchia di mercato ed essere differenti, ma di questo parleremo in un altro post.

Concludo questo mio post con un augurio  : come dicono in Spagna, mucha mierda e hasta la vista 😉


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MADE IN ITALY FOR SALE – Eccellenze italiane in mano straniera

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Se le piccole imprese italiane sono in crisi, per fortuna ci pensano i grandi marchi a tenere alto il nome ed il pil del nostro paese.

Da sempre Italia e Francia si contendono il primato in settori come la cucina e  la moda. Ma sempre non vuol dire adesso.

Proprio in questi giorni sono rimasto basito nel leggere quanto ci comunica la coldiretti.

Un allarme agghiacciante. Un patrimonio di oltre 10 miliardi passato a società straniere e multinazionali.

Con il perseverare della crisi ,  si è verificata una accelerazione nel processo di cessione di marchi storici dell’agroalimentare. Il presidente della Coldiretti Sergio Marini, manifesta la propria preoccupazione. Soprattutto per quanto concerne l’eventualità in cui dovesse avvenire uno spostamento delle fonti di approvvigionamento della materia prima, sinonimo di qualità dei nostri prodotti. Per non parlare dell’occupazione.

L’ultimo acquisto straniero è stata la casa produttrice dei famosi cioccolatini Pernigotti alla famiglia turca Toksoz. Gli fanno compagnia : Riso Scotti – Star – Parmalat – Orzo Bimbo – Olio Sasso – Bertolli – Peroni – Invernizzi –Locatelli – Fiorucci – San Pellegrino – Antica gelateria del corso – Perugina – Buitoni – Carapelli – Boschetti – Chianti classico – Galbani – Gancia.

L’elenco, purtroppo è veramente lungo. Ormai le notizie di cessioni  delle nostre aziende storiche si susseguono in maniera vertiginosa. Francia, Spagna, Cina, Turchia. Tutti fanno buoni affari in casa Italia.

In questi giorni fa notizia il caso Telecom, ma probabilmente ci siamo dimenticati di aziende come Edison e Ferretti. L’Italia è in svendita ed il fenomeno non si limita all’agroalimentare.

Almeno dovremo tenerci stretti i marchi in settori dove la crisi si sente meno. I beni di lusso. Purtroppo anche li troviamo il cartello “For sale” : Bulgari, Fendi , Pucci, Gucci, Loro Piana, Valentino, Ferrè…..

Alla luce di quanto emerso, mi domando se sia meglio “far cassa” e godersi una ricca pensione, o se le nostre imprese abbiano perso lo smalto di un tempo e la capacità di competere in un mercato sempre più esigente ?


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Nuove riforme per competere – Italia fanalino di coda

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Gli esperti si dividono. Chi vede i primi segni di ripresa e chi invece  non vede via d’uscita  se non  il default del nostro stato. C’è chi ritiene fondamentale l’appartenenza al carrozzone europeo, e chi invece lo considera causa attiva del crollo della nostra economia.

Per il cittadino “non addetto ai lavori”, spesso risulta difficile comprendere dove stia la verità.

Le testate libere di essere obiettive sono sempre meno. Dobbiamo leggere un punto di vista. Di chi propende da una parte e chi dall’altra. Le associazioni di categoria portano l’acqua al proprio mulino.

Negli ultimi anni siamo sttai condizionati da  pil  e spread. Che detto così potrebbe dare adito a facili metafore e analogie. Nel mese di agosto il famigerato spread (differenziale tra titoli di stato tedeschi e italiani)  è sceso a quota 250, il che è sicuramente positivo, nonché relativo. Il calo vertiginoso del pil (prodotto interno lordo) accende un preoccupante allarme sul quale riflettere e soprattutto agire.

Mentre chi ci governa gioca a fare la guerra delle parti,  a suon di  marachelle e bustarelle, il debito dello stato ha superato i 2 miliardi di euro.

Anche un bimbo potrebbe dire che per una vera svolta ci vogliano segnali forti. E’ il momento delle riforme intelligenti. Efficaci.

Le imprese sono strozzate, dal  sistema bancario e dalla mancanza di liquidità. Diminuiscono le commesse, cala la produzione, l’occupazione  è scesa ai minimi storici.

C’è bisogno di focalizzarsi sulle soluzioni e non su nuove forme di propaganda elettorale.

Se ci fosse una classifica, Il nostro paese sarebbe sicuramente sul podio per quanto concerne burocrazia, privilegi, de-meritocrazia e classe politica inconcludente .

Uno studente al primo anno di economia ci direbbe che per una ripresa sia indispensabile rivedere le politiche del lavoro.

Il nostro tessuto economico è basato sulle piccole imprese. Producono reddito,  pagano le tasse, creano occupazione e ricchezza.  Una Pubblica Amministrazione più snella e produttiva. Più puntuale nei pagamenti alle imprese .

Il benessere viene circoscritto in ambiti sempre più ristretti . I benestanti di un tempo, oggi ritenuti i nuovi poveri, svestono i panni di consumatori assidui . Non circola denaro e il sistema s’inceppa.

Sono le basi, ed è proprio da li che dovremo ripartire.

Non che le nostre imprese siano esenti da colpe e responsabilità, ma questo è un altro discorso.

Ci si trincera dietro l’alone della crisi , tanto da restare bloccati anche nelle più piccole azioni che potrebbero fare la differenza.

Il fatto che stati come Spagna, Grecia, Portogallo si trovino nella nostra situazione se non peggio, ci da un macabro conforto . Uno stato di malessere generale condiviso.

Invece , dovremo prendere esempio da paesi come Slovacchia, Estonia, Svezia, per non parlare di Austria, Germania, Giappone. Oggi la nuova America sembra essere ciò che un tempo veniva definito terzo mondo.

E noi culla della civiltà, della cultura, della storia e delle tradizioni, ci troviamo a ricoprire un nuovo ruolo di spettatori in un mercato sempre più globale. Parliamo di competitività.

Secondo la classifica stilata dall’Atlante sulle competitività 2013, l’Italia si trova fanalino di coda davanti solamente a Polonia e Ungheria. Alcuni dei parametri presi in considerazione sono :

Funzionamento del mercato del lavoro, stabilità economico – politica, innovazione e tecnologia.

Indagini, analisi, ricerche. Abbiamo solamente l’imbarazzo della scelta.

In questi giorni sono state pubblicate le pagelle sulle riforme a cura del Fondo monetario e Ocse.I dati sono impietosi.  L’italia risulta bocciata in 5 materie su 9.

Istituzioni , infrastrutture, valorizzazione del capitale umano, mercato del lavoro, servizi professionali

E le altre 4 ?

non illudiamoci, siamo stati rimandati a settembre, a causa delle riforme incomplete :

Opportunità di business, liberalizzazioni del commercio, innovazione

La strada da percorrere sembra ancora molto lunga. Siamo indietro ed in gravissimo ritardo rispetto ad altri paesi. Questo potrebbe essere anche un fattore positivo. Si dice che quando si tocca il fondo si può solo risalire. Abbiamo pertanto grandi margini di miglioramento. Attuando  immediatamente azioni concrete, il nostro paese non potrà che percorrere un lungo cammino di crescita con un incremento continuo del tanto amato pil.